venerdì 8 febbraio 2013

La cinquecento cilestrina - 4- Il cavallo


Che il cavallo, molti anni addietro, fosse stato realizzato per carnevale non riuscivo proprio a crederlo: a carnevale si faceva solo la sfilata. 
I ragazzi grandi si mettevano jeans rotti, catene intorno ai polsi e si facevano cerchi neri attorno agli occhi.
I ragazzi grandi ti lanciavano fiale puzzolenti, uova marce e petardi accesi tra i piedi. 
I ragazzi grandi il giorno di carnevale avevano la scusa di maltrattarti senza che nessuno dicesse nulla. 
Ti riempivano la bici di schiuma. 
Ti scarabocchiavano la cartella. 
Ti prendevano in giro per il costume che indossavi o che non indossavi. 

Odiavo carnevale. 

E poi c’erano quelle maschere di plastica, orribili, con i buchi neri per gli occhi, che a me ricordavano i teschi della chiesa della Pieve. E a Carnevale stavano tutti a ridere di denti, proprio come i teschi della pieve.

Io odiavo il carnevale. 

E poi non mi piacevano nemmeno le chiacchiere. A me piacevano le frittelle a bignè, ma non col liquore, che quelli piacciono a mio papà e a me facevano proprio schifo, a me piacevano quelli con la crema di latte. Ma la mia mamma faceva esclusivamente chiacchiere. Che piacevano solo a lei. E si domandava perché noi uomini non apprezzassimo i dolci. Ma io non volevo che lei ci rimanesse male e non le ho mai spiegato bene bene che a me i dolci piacciono, ma le chiacchiere no. E forse non glielo aveva spiegato nemmeno papà.

Comunque, che il carnevale, tanti anni prima, fosse una processione di carri multicolore per le vie del paese, non riuscivo proprio a crederlo. Così la mamma un giorno, per raccontarmi di quella festa, mi portò fino al cavallo, che, partendo dalla piazza, era una passeggiata lunghissima. Il cavallo, era tutto impiastricciato di scritte gigantesche a colori. Lo avevano usato a rievocare l'antica Grecia, di uomini che uscivano dalla pancia di un cavallo di legno per invadere una città. Ma questo a me mi pareva di gesso. E non ce l'aveva la pancia apribile, avevo controllato bene. Ma qui è Pisogne. E Pisogne non è in Grecia. 

“Mamma come si legge S C?”
“Si legge sc, come sciare”
“Su questa gamba c’è scritto scemo… Sce-mo chi leg-ge”
“Appunto. E i cavalli hanno le zampe, non le gambe.” disse mamma e guardò lontano, in mezzo al lago, ma lo guardò come si guarda un mare, che la fine non la vedi e in fondo lo sguardo si perde… Lei guardava così il nostro lago che è davvero piccolo, che se ti impegni potresti quasi quasi vedere chi passeggia sull’altra sponda, a Lovere…

Ma la mamma pensava... 

Aveva litigato con papà a pranzo, per un fratellino.  Un fratellino che non c’era ancora, ma che lei voleva e papà no. “Ma allora perché litigate, se ancora non c’è?” chiesi… La mamma disse che non potevo capire e poi spiegò a papà che anch’io ne avevo bisogno. Io non lo so se ne avevo davvero bisogno. Ma se la mamma guardava lontano sulla riva del nostro lago e se mi permetteva di dire “scemo” senza buscare una sberla sulla bocca, io mi sentivo davvero solo e forse c’era proprio occorrenza di un fratellino. E gli avrei regalato le mie figurine doppie, al mio fratellino. E gli avrei raccontato che sulla zampa del cavallo c’era scritto scemo. E gli avrei riferito tutte le parolacce che conoscevo. 

Ma non volevo una sorella, questo proprio no. Avrei dovuto dirlo alla mamma, non appena avesse smesso di guardare oltre le montagne, che la femmina non la volevo. 
Anche perché, cosa ne avrei fatto delle mie 32 figurine di Causio se fosse arrivata una femmina?


Racconto scritto nel 2010, ad accompagnare la mostra fotografica di mio marito "I lake Pisogne", altre fotografie su: 
https://plus.google.com/photos/113258995033312588615/albums/5482977161003555329?banner=pwa

Nessun commento:

Posta un commento

Vuoi lasciarmi il tuo pensiero? Grazie!!!

Related Posts Plugin for WordPress, Blogger...