Ci sono incontri, a volte, inaspettati. Scoperte (e riscoperte) che sono meraviglia, in cui ti imbatti per caso, come se avessi trascorso anni a prepararti, fermo, in attesa.
Capita con le persone, certe persone.
Capita con i libri, certi libri.
Cercavo Mariolina Venezia: "Mille anni che sto qui", che andava riletto proprio in questi giorni di inquietudine. Ho scovato solo "Da dove viene il vento", che ho già letto e voglio abbracciare di nuovo, ma deve rimanere a macerare sul fondo della pila, ancora per qualche alba.
Curiosavo, un po' delusa. Poi leggo un titolo: "Il silenzio che viene alla fine" di Deborah Gambetta. La copertina non mi piace. Lo apro a caso. Leggo. Chiudo. Apro di nuovo e di nuovo.
Non è possibile. Non delude.
Lo prendo.
Lo leggo vorace. Una lettura da predatore. Una lettura ingorda, di cibo da ingollare, da ficcare in bocca con le mani- entrambe, in contemporanea.
Sono a pagina 127 di 220 e devo chiudere. Luce spenta.
Nevica fuori. Un silenzio di faville bianche. Bisogna dormire, bisogna proprio...
Non so cosa leggerò domani.
Ma non voglio che sia un finale a virare il mio sentire. Le rileggerò ancora queste pagine, con la pace di chi, la meraviglia, l'ha già vissuta e ne segnerò le frasi che vorrei aver scritto io, che vorrei aver sentito.
Sono felice. Quando trovo chi scrive con le cicatrici dischiuse. Mi fa sentire meno inquieta.
Ma poi il libro lo hai finito?
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