giovedì 18 novembre 2021

Tutto chiede salvezza, Mencarelli

 LIBRO 35 - 11/2021

TUTTO CHIEDE SALVEZZA, DANIELE MENCARELLI, MONDADORI, 2020.

NO SPOILER


Ad ogni pagina, prenderesti i loro visi tra le mani. Per guardarli in fondo agli occhi e tirar fuori i fiumi di bellezza che scorrono dentro. Te li porteresti a casa tutti, i protagonisti. Come quei gattini fradici che hanno bisogno di una coccola e un pochino di riposo per tornare fieri e rubesti.

Se non fosse stata la scelta mensile del mio gruppo di lettura, non avrei mai letto due libri di Mencarelli uno di seguito all'altro. I motivi sono fondamentalmente due: Mencarelli lascia troppi lividi (c'è bisogno di guarire prima di passare alle botte successive) ed è pura meraviglia, da centellinare, è quello scrittore da tenere sul comodino, in attesa, perché a volte è sufficiente sapere di avere da parte una scorta di bellezza per rassicurare il cuore. E perché, come sosteneva Lessing (che poi sia un tedesco a disquisire sul piacere ai miei occhi lo fa meritevole assai) è piacere già l’attesa stessa del piacere, no?

 

“La casa degli sguardi” è stato il mio primo Mencarelli una batosta emotiva devastante: parlare di bambini ammalati, bambini deformi o sfigurati, bambini che muoiono. lascia distrutti. “Tutto chiede salvezza” è di nuovo autobiografico, si concentra su una settimana di trattamento sanitario obbligatorio che Mencarelli ha subito a vent’anni. Questo suo secondo romanzo colpisce ancora e comunque, e ancora e comunque. Ci avvicina ai derelitti che portano in giro vite spezzate quasi tutte in modo irrimediabile

Ragazzi, più o meno giovani che si ritrovano a condividere la stanza con ricoverati di lunga degenza, ci guardano con occhi impauriti dai loro letti d'ospedale sentiamo le loro urla e il loro infinito silenzio. Percepiamo la loro ansia o la totale assenza di emozioni. La vita in bilico tra ragione e follia, tra senso di colpa e voglia di normalità, tra volontà depauperata e remissione.

Viviamo per una settimana accanto a loro come se anche il nostro letto fosse sistemato in quello stanzone a fianco di chi non riesce a fare altro che fissare un punto nel vuoto oppure a chi per sopravvivere si procura tagli sulle braccia. Guardiamo chi si sente donna e si smalta le unghie dei piedi e chi preferisce rintanarsi in una realtà fatta di uccellini sull'albero oltre la finestra. Sentiamo la stanchezza dei medici, la loro poca affezione, il distacco di una sensibilità troppe volte dilaniata, la scelta di una terapia farmacologica spogliata del dialogo, dell’empatia. E il dolore dei genitori che spesso diventa vergogna di questo figlio diverso, in qualche modo sbagliato. E sentiamo pure il caldo che ci incolla i capelli e l’odore grasso della minestra e il sudore che bagna i materassi e tanfa l’ambiente con la puzza di piscio nei pannoloni eterni.

L’autore ci fa affezionare a questo gruppo di sbrindellati. Ci fa affezionare al sé ragazzo, fragile davanti a tutte le emozioni, incapace di affrontarle, di assimilarle. Per la miseria, Mencarelli, ti si vuole bene.

Lascia domande aperte sulla reale utilità di trattamenti di questa tipologia, così brevi per cambiare una vita, lunghi se non curativi, avulsi da un contesto che risucchia il ricoverato appena mette un piede fuori.

Lascia impotenti. Lascia pugni stretti, occhi umidi e labbra che tremano.

#ilibridihollyeponyo

 

“Vorrei avere una corazza, un’armatura del miglior ferro, capace di tenermi distante dalle cose, vorrei non disperarmi per la disperazione degli altri, non sentire la madre di Giorgio come mia madre, la vita degli altri saldata alla mia con un patto di sangue.” Pagina 52

“Eccola la mia ossessione, il mio desiderio patologico. Salvezza. Dalla morte. Dal dolore. Salvezza per tutti i miei amori. Salvezza per il mondo." Pagina 100

"Bastava talmente poco. Bastava ascoltare, guardare negli occhi, concedere. Una volta, una sola volta. Invece non lo hanno fatto. Perché per loro non eravamo degni di essere ascoltati. Perché i matti, i malati, vanno curati, mentre le parole, il dialogo, è merce riservata ai sani." P. 188

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