lunedì 20 dicembre 2021

Storia di un figlio, F. Geda . E. Akbari, Baldini

 

LIBRO 36 - 11/2021

Storia di un figlio, F. Geda . E. Akbari, Baldini + Castoldi, 2020

NO SPOILER

ATTENZIONE, questa non è una recensione.


Akbari è il primo mattino di primavera. Avete presente quel giorno dell’anno in cui apri le finestre ti sporgi e senti che qualcosa è cambiato: l'aria rimane frizzante ma è un fresco quasi mieloso, la brezza sgrappola i fiori di ciliegio, i boccioli di iris tentennano e ti accorgi che i tulipani sono sbocciati così, all’unisono, splaf. È solo un giorno più del precedente ma ti senti Felice. Ecco, Enaiatollah fa lo stesso effetto, anche agi albori di un inverno già gelido. Se ne sta seduto su un palco rialzato, quasi nascosto dietro un tavolinetto coperto da un telo nero sdrucito e spiegazzato, postura defilata, umile, ti guarda con quel suo sorriso che è esordio di primavera e ripete: “Io sono fortunato”. 

Ho partecipato alla presentazione dell'ultimo libro di Akbari: “Storia di un figlio” ad un'oretta di distanza da casa mia. Io e mia figlia abbiamo letto i suoi due libri di corsa, uno via l'altro, ingollandoli a sorsi di gusto come una bibita fresca. Giulia è partita con “Nel mare ci sono i coccodrilli” assegnato dalla professoressa, io lo avevo in lista da un decennio, abbiamo dunque pensato di affrontare la lettura insieme. Concluso quello, via con “Storia di un figlio” uscito da poco, che ne è il seguito. Dunque andare a conoscere Akbari è stato un po' il coronamento (necessario) di questo breve percorso di lettura in comune.

Confesso che trovarsi di fronte ad un uomo che ha avuto quella sua vita dura, è stato profondamente destabilizzante ma intriso di emozioni. Lui parlava, scherzava, rideva, sono rimasta per un certo periodo sospesa tra il rapito e l’incredulo. Lui buffo, io instabile.

Akbari ha lasciato il suo Afghanistan a dieci anni: la madre lo ha abbandonato lontano da casa, per salvargli la vita. Da solo. Bimbo, disperso nel mondo. E ha vissuto, entro i sedici anni, eventi talmente folli da far fatica ad immaginarli: perdere il padre in una situazione dubbia, viaggiare per settimane tra monti di ghiacci scostandosi giusto per non inciampare nei compagni morti assiderati, rimanere rannicchiato nel sottofondo di un camion senza cibo, acqua e possibilità di fare pipì per giorni e giorni, attraversare il mare su un canotto gonfiabile, lavorare in un cantiere edilizio a nemmeno una dozzina di compleanni compiuti…


E te lo ritrovi lì, sul palco, proprio lui, un po’ cresciuto, ma è lui, con quel sorriso grande come l’Italia a ripetere che è fortunato.

E vorresti abbracciarlo, questo ragazzo ora scherzoso, allegro, leggero, ora serio e determinato. E ringraziarlo per il suo raccontarsi, aprire la p 

orta a tutto quel dolore e tirarlo fuori a fiume in piena, e buttarcelo in faccia, come acqua torbida che ci gela viso e stomaco e perché lo ha messo nero su bianco, tutto quel soffrire e dev’essere stato peggio che averlo vissuto.

Del libro non vi dico nulla. Ma leggetelo, dopo i coccodrilli, ovviamente, perché i rimandi sono continui e la portata di certi eventi potrebbe non essere ben compresa, senza la base dei primi anni di vita di Enaiatollah.

Questa non è una recensione. Ho già raccontato le sensazioni che mi ha lasciato il primo libro di Akbari, questo ne è “semplicemente” il seguito. Va letto, per sapere e per non girare il viso altrove. Perché certe vite, se non le si leggono, il nostro cervellino nato al sicuro in Italia, non può immaginarle.

“… perché dimenticare è un modo buono per non soffrire; e questo non per cattiveria o cosa, ma perché, prima di avere abbastanza spazio nella testa per occuparti degli altri, devi trovare il modo di stare bene con te stesso.”

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