Questa volta no.
Questa volta non mi tocca il colore della copertina e nemmeno la trama.
Questa volta deve essere un sipario nuovo e il titolo deve essere quello giusto.
Perché il titolo di un libro è come nominare un figlio, devi sceglierlo con accuratezza, mica puoi dopo un paio di mesi o d'anni, uscirtene con uno scusate tutti ma Giulia non mi piace più, la chiamerò Leda, che era la mia seconda scelta. Il nome deve essere quello giusto.
Proprio quello leggo. Su dorsetto blu viola. Si è lasciato trovare in fretta: Il nome giusto di Sergio Garufi, opera prima di un cinquantenne, che pare pure belloccio, dalla fotina, sguardo fisso e nessuna mano in casuale appoggio sotto il mento.
Scorro l'indice, i capitoli hanno un titolo, però nel libro non lo riporta. Mi incuriosisce subito. Prime tre righe. "Finì così, con un referto autoptico di 73 parole e 567 battute. In quello stile neutro e gelido si compendiava la storia di un morto, la mia storia. Niente sentimenti, niente da interpretare, nessuna preoccupazione formale per eventuali cacofonie, ripetizioni, onomatopee.". Spio a caso, pag. 116 "i libri li respirai ancora prima di leggerli, ma fui l'unico ad esserne tanto attratto."
Preso.
Ecco, come accade, a volte.
Ci sono uomini, nella vita di ognuno, che fanno da spartiacque. Un cristo privato da cui partire a raccontarsi. Uomini per cui ne vale la pena di spaccare la vita in due e poi in quattro, che non c'è comunque alternativa.
Per me ci sarà anche un Garufi ante e post. Cognome, mica per mantenere le distanze è che con "Sergio" mi incasino un poco... E da precisare è un disastro.
- Io mi incanto ad ascoltare. Mai girata per un viso, mille volte per una frase. E non ho detto voce. Credevo fosse ciò che la gente ha da dire a catturarmi. Ma l'ho capito in fretta che non era quello, o almeno, non solo. E' come viene detto. Come.
Detto. O scritto. - La memoria. A me così cara... Così avulsa da me. Mi affascina il ricordo del bimbo, del vecchio, chi rammenta i suoni e le pause, tra essi. Gli odori ed il sapore che ti lasciano nel fondo della gola, ma poi. Io vivo con una memoria sedicente. Potrei chiamarla altra. E mi cibo dei ricordi altrui, li gusto, rigirandoli tra lingua e palato ché non mi sfuggano le gradazioni.
- La cultura in campo artistico e letterario. Quella che non puoi e non vuoi brandire al barbecue domenicale tra vicini di casa. Quella solinga ed egoista. Quella da servire a piccole dosi, come un aperitivo d'estate, a preludio di ciò che sta dietro, ciò che verrà poi. Che la cultura viaggia nello stesso scomparto della memoria, a dirla tutta... Dunque forse è un sottolineare ulteriormente, un precisare una tematica, ma tant'è...
Garufi, racconta, istruisce e strabilia. Io rimango senza fiato e riesco a non ingozzarmi ma non ce la faccio a gustare con la calma che richiedono le sue parole, ho fretta, di tutto. Pessima lettrice di poesia, io.
Lui passeggia tra Borges e il Parmigianino, Kafka e Caravaggio (Caravaggio!!!), Leopardi, Céline, Tiziano Scarpa e mi regala una prospettiva diversa.
Guardo la mia piccola biblioteca casalinga e sorrido: c'è aria nuova... Questa sera lo ordino e lo aspetterò trepidante. Lo rileggerò come fosse un saggio dei tempi dell'università: ne seguirò le fonti, una dopo l'altra, con pazienza e tenacia, ombra di Garufi, dietro alla sua spalla destra.
E se dovessi scegliere un uomo impossibile per "una cena nella vita", no, Clooney ve lo lascio...
Io chiederei di Garufi.
Beh, m'hai fatto venir voglia di leggerlo!
RispondiElimina;-)