LIBRO 35 - 11/2021
TUTTO CHIEDE SALVEZZA, DANIELE MENCARELLI,
MONDADORI, 2020.
NO
SPOILER
Ad ogni pagina, prenderesti i loro visi tra le mani. Per guardarli in fondo agli occhi e tirar fuori i fiumi di bellezza che scorrono dentro. Te li porteresti a casa tutti, i protagonisti. Come quei gattini fradici che hanno bisogno di una coccola e un pochino di riposo per tornare fieri e rubesti.
Se non
fosse stata la scelta mensile del mio gruppo di lettura, non avrei mai letto
due libri di Mencarelli uno di seguito all'altro. I motivi sono fondamentalmente
due: Mencarelli lascia troppi lividi (c'è bisogno di guarire prima di passare
alle botte successive) ed è pura meraviglia, da centellinare, è quello
scrittore da tenere sul comodino, in attesa, perché a volte è sufficiente
sapere di avere da parte una scorta di bellezza per rassicurare il cuore. E perché,
come sosteneva Lessing (che poi sia un tedesco a disquisire sul piacere ai miei
occhi lo fa meritevole assai) è piacere già l’attesa stessa del piacere, no?
“La
casa degli sguardi” è stato il mio primo Mencarelli una batosta emotiva
devastante: parlare di bambini ammalati, bambini deformi o sfigurati, bambini
che muoiono. lascia distrutti. “Tutto chiede salvezza” è di nuovo
autobiografico, si concentra su una settimana di trattamento sanitario obbligatorio
che Mencarelli ha subito a vent’anni. Questo suo secondo romanzo colpisce ancora
e comunque, e ancora e comunque. Ci avvicina ai derelitti che portano in giro vite
spezzate quasi tutte in modo irrimediabile
Ragazzi,
più o meno giovani che si ritrovano a condividere la stanza con ricoverati di
lunga degenza, ci guardano con occhi impauriti dai loro letti d'ospedale
sentiamo le loro urla e il loro infinito silenzio. Percepiamo la loro ansia o
la totale assenza di emozioni. La vita in bilico tra ragione e follia, tra
senso di colpa e voglia di normalità, tra volontà depauperata e remissione.
Viviamo
per una settimana accanto a loro come se anche il nostro letto fosse sistemato
in quello stanzone a fianco di chi non riesce a fare altro che fissare un punto
nel vuoto oppure a chi per sopravvivere si procura tagli sulle braccia.
Guardiamo chi si sente donna e si smalta le unghie dei piedi e chi preferisce
rintanarsi in una realtà fatta di uccellini sull'albero oltre la finestra.
Sentiamo la stanchezza dei medici, la loro poca affezione, il distacco di una
sensibilità troppe volte dilaniata, la scelta di una terapia farmacologica spogliata
del dialogo, dell’empatia. E il dolore dei genitori che spesso diventa vergogna
di questo figlio diverso, in qualche modo sbagliato. E sentiamo pure il caldo
che ci incolla i capelli e l’odore grasso della minestra e il sudore che bagna
i materassi e tanfa l’ambiente con la puzza di piscio nei pannoloni eterni.
L’autore
ci fa affezionare a questo gruppo di sbrindellati. Ci fa affezionare al sé ragazzo,
fragile davanti a tutte le emozioni, incapace di affrontarle, di assimilarle. Per
la miseria, Mencarelli, ti si vuole bene.
Lascia
domande aperte sulla reale utilità di trattamenti di questa tipologia, così
brevi per cambiare una vita, lunghi se non curativi, avulsi da un contesto che
risucchia il ricoverato appena mette un piede fuori.
Lascia
impotenti. Lascia pugni stretti, occhi umidi e labbra che tremano.
#ilibridihollyeponyo
“Vorrei
avere una corazza, un’armatura del miglior ferro, capace di tenermi distante
dalle cose, vorrei non disperarmi per la disperazione degli altri, non sentire
la madre di Giorgio come mia madre, la vita degli altri saldata alla mia con un
patto di sangue.” Pagina 52
“Eccola
la mia ossessione, il mio desiderio patologico. Salvezza. Dalla morte. Dal
dolore. Salvezza per tutti i miei amori. Salvezza per il mondo." Pagina
100
"Bastava
talmente poco. Bastava ascoltare, guardare negli occhi, concedere. Una volta,
una sola volta. Invece non lo hanno fatto. Perché per loro non eravamo degni di
essere ascoltati. Perché i matti, i malati, vanno curati, mentre le parole, il
dialogo, è merce riservata ai sani." P. 188