Élisabeth Gille, “Mirador. Irène Némirowsky, mia madre”, Fazi Editore, 2011.
“Mirador non l’ha scritto la Némirovsky”. Ripetete con me: “Mirador non l’ha scritto la Némirovsky”.
Se avete letto alcuni Némirovsky e conoscete la sua prosa asciutta, tagliente, incisiva, cristallina, perfetta e vi avvicinate a questo romanzo con l’aspettativa di ritrovarla, ne rimarrete irrimediabilmente delusi. Ecco, non fatelo, perché il libro è una bel viaggio, ma non l’ha scritto la Némirovsky.
L’ha scritto sua figlia, un’autobiografia vera e propria, narrata in prima persona da una figlia che attese di compiere i cinquant’anni prima di affrontare il fantasma materno e sviscerarlo su carta. Una figlia che doveva avere solo una manciata scarna di ricordi materni: perché Irène morì quando la bimba aveva appena cinque anni.
La Némirovsky, dunque, si narra attraverso la voce di questa figlia che ha ricostruito l’immagine materna attraverso anni di studi su carte e diari e bozze e romanzi pubblicati. Ne scaturisce un romanzo molto credibile (vero è che a volte si inciampa in certe sensazioni o timori o punti di vista che chissà, se la protagonista ha realmente avuto… ma sono dubbi legati a momenti isolati e si va oltre).
Ho apprezzo l’atto d’amore, della Gille che ha atteso una vita per raccogliere tutte le energie e ricostruire passo dopo passo le tappe del passato di sua madre, di questa vita strappata troppo presto (anche alle sue bambine), in modo così folle. Ma non ho goduto della prosa, assai lontana da quella della Némirowky; questo raccontare in prima persona, con una cadenza così diversa (radicalmente), da quella a cui Irène ci ha abituati, crea una sorta di fastidio, una sonatura. Ci si deve abituare ad un narrare discorde, lo si deve accettare questo scollamento tra la “madre” e la “scrittrice”, per continuare nella lettura.
Un libro necessario, per conoscere meglio la scrittrice e la sua vita, un racconto intriso di storia e di documenti, di citazioni e scambi epistolari. Quasi fosse un saggio, pensare a questo, un po’ ci aiuta nella lettura!
La scrittrice relega la sua presenza a poche pagine di ricordi scarni, evidenziate dal corsivo, che si inseriscono nello scorrere della biografia ora qui, ora lì, a tingere la storia, come papaveri in un campo di grano; Élisabeth ci porta a casa, oltre l'uscio, ci presenta la Nemirovski (al lavoro all'aperto o nello studio, in cucina, mentre mangia o discute), il marito, gli amici, le stesse figlie e la terribile nonna. la nonna di Elisabeth Gille, madre di Irène, che rifiutò le nipotine, miracolosamente salvate dalla deportazione, con una frase fondamentale: “Io non ho nipoti”.
Un libro faticoso, soprattutto perché ci si aspetta una voce nota, invece è più come guardare un bellissimo film con doppiaggio fastidioso; ma il narrare è scorrevole, empatico.
Non so se lo consiglierei… forse a chi si è innamorato della Nemirowsky e, come me, desidera capire, sapere, immaginare e non perdere il dettaglio più minuto.
Se però siete appassionati della Nemirovski, leggetelo come fosse un saggio e gustate i dettagli, i rimandi storici, le delicatezze delle descrizioni dei momenti in famiglia, tra le mura domestiche, ma ripetete ancora con me: “Mirador non l’ha scritto la Némirovsky”.
#ilibridihollyeponyo
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#Nèmirovsky
La bestiolina in fotografia non è stata maltrattata ma non ha ricevuto biscotti/premio perchè già se magna la qualunque.
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