giovedì 3 febbraio 2022

Pnin, Nabokov

 

3 - 1/2022

Vladimir Nabokov, Pnin, Adelphi edizioni, (1953) 1998, traduzione Elena De Angeli

NO SPOILER 

Posso confessartelo che è il mio primo Nabokov?

Sono terrorizzata da Lolita, ma chissà, un giorno forse… Prima di aprirlo, questo romanzo, ti lascio un consiglio piccolino. Non avere fretta, non c’è nulla nella pagina dopo, nulla di nuovo, nessun colpo di scena, è solo vita, pagine di vita un po’ grigia, un po’ monotona. Ma gusta ogni frase, ogni riga. Fermati e gusta ogni parola, che sono gioielli di meraviglia.

 

Ti racconto di questo Pnin, stasera, perché c’è Sanremo e a me non interessa e perchè i classici, vanno tolti dalla polvere, lucidandoli, ogni tanto. E perché siamo tutti Pnin, una volta, qualche volta, ogni giorno.

 

Antieroi. Patetici. Tristi. Insignificanti. Determinati ad adattarci e a non riuscire a farlo. Alla ricerca di un’integrazione che ci lascia sempre estranei, balzani. In un campo di battaglia che ci vede perdenti, attori impacciati di una lotta impari.

 

È la storia di Timofej Pavlovic Pnin, accademico russo, fuggito durante la Rivoluzione d’ottobre, in continuo pellegrinaggio senza trovare il posto dove mettere le radici. Anelando stabilità, cambia spesso la casa in affitto, Pnin, dapprima in Europa, poi lo scopriamo professore di russo in un’università di provincia negli Stati uniti (esattamente come accadde a Nabokov).

Oltreoceano Pnin si concentra sull’impossibile adattamento ad una civiltà, che lo schernisce… Dopo decenni ancora il suo inglese è sconnesso e continua a storpiarne la pronuncia.

La sua vita era una guerra senza quartiere contro oggetti insensati che cadevano in pezzi o gli si rivoltavano contro o si rifiutavano di funzionare, oppure scomparivano per pura malignità nel momento stesso in cui entravano nella sua sfera di esistenza

Pnin, distratto e impacciato inciampa in continui eventi imbarazzanti: ad un simposio sbaglia il discorso da tenere, portandosi la tesina di una studentessa; cade dalle scale, lava le scarpe in lavatrice, rendendole inutilizzabili, compra il regalo sbagliato, si perde in un viaggio, guida con imbarazzante imbranataggine. E a volte ne è consapevole, più spesso no, o ci convive… A rendere il tutto oltremodo triste, Pnin è innamorato dell’opportunista Liza, che passa da un marito all’altro con serenità ed eleganza.

"Perché non lasciare alla gente i suoi dispiaceri personali? Il dolore, mi domando, Non è la sola cosa al mondo che la gente possegga davvero? "Pagina 52

 

Nabokov crea un ritratto unico: ironico e buffo, onesto, esilarante e malinconico.

“Veniva apprezzato Non tanto per una qualche sostanziale competenza, quanto per quelle sue indimenticabili digressioni, durante le quali si toglieva gli occhiali per gettare uno sguardo radioso al passato strofinando nel contempo le lenti del presente.”

 

Pnin possiede cultura sconfinata, di dettagli e minuzie (viaggia da Anna Karenina a “Guerra e pace” a Omero, Dostoevskij, Cechov …), parla di arte e di storia. È innamorato della patria lontana che ritrova in paesaggi e rimandi e letture ed espressioni e modi di dire.

 

Pnin è un perdente maldestro e impacciato ma pieno di decoro e fiducia per cui non si può non provare affetto nei suoi confronti. Il lettore si trova a detestare l’entourage accademico che lo deride, mostrandogli un sorriso affabile. Pnin è un uomo fallito, ma buono, misero, goffo per natura, che porta in luce l’inconsistenza di valori dell’università provinciale, che millanta di essere produttrice di cultura mentre si occupa di autoalimentarsi. 

Lo stile di Nabokov, incanta, oscilla tra minuzioso realismo (ci basti la descrizione fisica e dell’abbigliamento di Pnin nelle prime pagine: lascia a bocca aperta) e potenza evocativa.

E ci lascia in testa un novello aggettivo: “Pniniano” o il verbo “Pninizzare” perché siamo tutti un po’ così. Tutti pronti a crearci il nostro mondo pniniano, cucito attorno: un nido a nostra misura, dove nasconderci rinchiuderci proteggerci.

 

Non voglio dimenticare la sequenza di parole bellissime che Nabokov nasconde tra le pagine e la traduttrice ha scovato e ci consegna lustre, parole che suonano liquide: rabberciato mannello ciancicato diaccio macilento meditabondo almanaccare rorida epitome florilegio marezzato malia compassato chioccolio sibaritico glabella discettare. Tienele sotto il palato queste parole, come caramelle da tenere lì

 

“Certe persone - e io sono di quelle - odiano il lieto fine. Ci sentiamo truffati. Il fallimento è la norma. Un destino funesto non dovrebbe incepparsi.” Pagina 27

 

. #ilibridihollyeponyo

Nessun commento:

Posta un commento

Vuoi lasciarmi il tuo pensiero? Grazie!!!

Related Posts Plugin for WordPress, Blogger...