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- 1/2022
Vladimir
Nabokov, Pnin, Adelphi edizioni, (1953) 1998, traduzione Elena De Angeli
NO SPOILER
Posso confessartelo che è il mio primo Nabokov?
Sono terrorizzata da Lolita, ma
chissà, un giorno forse… Prima di aprirlo, questo romanzo, ti lascio un
consiglio piccolino. Non avere fretta, non c’è nulla nella pagina dopo, nulla
di nuovo, nessun colpo di scena, è solo vita, pagine di vita un po’ grigia, un
po’ monotona. Ma gusta ogni frase, ogni riga. Fermati e gusta ogni parola, che
sono gioielli di meraviglia.
Ti racconto di questo Pnin, stasera,
perché c’è Sanremo e a me non interessa e perchè i classici, vanno tolti dalla
polvere, lucidandoli, ogni tanto. E perché siamo tutti Pnin, una volta, qualche
volta, ogni giorno.
Antieroi.
Patetici. Tristi. Insignificanti. Determinati ad adattarci e a non riuscire a
farlo. Alla ricerca di un’integrazione che ci lascia sempre estranei, balzani.
In un campo di battaglia che ci vede perdenti, attori impacciati di una lotta
impari.
È
la storia di Timofej Pavlovic Pnin, accademico russo, fuggito durante la
Rivoluzione d’ottobre, in continuo pellegrinaggio senza trovare il posto dove mettere
le radici. Anelando stabilità, cambia spesso la casa in affitto, Pnin, dapprima
in Europa, poi lo scopriamo professore di russo in un’università di provincia negli
Stati uniti (esattamente come accadde a Nabokov).
Oltreoceano
Pnin si concentra sull’impossibile adattamento ad una civiltà, che lo
schernisce… Dopo decenni ancora il suo inglese è sconnesso e continua a
storpiarne la pronuncia.
“La sua vita era una guerra senza quartiere
contro oggetti insensati che cadevano in pezzi o gli si rivoltavano contro o si
rifiutavano di funzionare, oppure scomparivano per pura malignità nel momento
stesso in cui entravano nella sua sfera di esistenza”
Pnin,
distratto e impacciato inciampa in continui eventi imbarazzanti: ad un simposio
sbaglia il discorso da tenere, portandosi la tesina di una studentessa; cade
dalle scale, lava le scarpe in lavatrice, rendendole inutilizzabili, compra il
regalo sbagliato, si perde in un viaggio, guida con imbarazzante imbranataggine.
E a volte ne è consapevole, più spesso no, o ci convive… A rendere il tutto
oltremodo triste, Pnin è innamorato dell’opportunista Liza, che passa da un
marito all’altro con serenità ed eleganza.
"Perché non lasciare alla gente i suoi
dispiaceri personali? Il dolore, mi domando, Non è la sola cosa al mondo che la
gente possegga davvero? "Pagina 52
Nabokov
crea un ritratto unico: ironico e buffo, onesto, esilarante e malinconico.
“Veniva apprezzato Non
tanto per una qualche sostanziale competenza, quanto per quelle sue
indimenticabili digressioni, durante le quali si toglieva gli occhiali per
gettare uno sguardo radioso al passato strofinando nel contempo le lenti del
presente.”
Pnin
possiede cultura sconfinata, di dettagli e minuzie (viaggia da Anna Karenina a “Guerra
e pace” a Omero, Dostoevskij, Cechov …), parla di arte e di storia. È innamorato
della patria lontana che ritrova in paesaggi e rimandi e letture ed espressioni
e modi di dire.
Pnin
è un perdente maldestro e impacciato ma pieno di decoro e fiducia per cui non
si può non provare affetto nei suoi confronti. Il lettore si trova a detestare l’entourage
accademico che lo deride, mostrandogli un sorriso affabile. Pnin è un uomo
fallito, ma buono, misero, goffo per natura, che porta in luce l’inconsistenza
di valori dell’università provinciale, che millanta di essere produttrice di
cultura mentre si occupa di autoalimentarsi.
Lo
stile di Nabokov, incanta, oscilla tra minuzioso realismo (ci basti la
descrizione fisica e dell’abbigliamento di Pnin nelle prime pagine: lascia a
bocca aperta) e potenza evocativa.
E
ci lascia in testa un novello aggettivo: “Pniniano” o il verbo “Pninizzare”
perché siamo tutti un po’ così. Tutti pronti a crearci il nostro mondo
pniniano, cucito attorno: un nido a nostra misura, dove nasconderci
rinchiuderci proteggerci.
Non
voglio dimenticare la sequenza di parole bellissime che Nabokov nasconde tra le
pagine e la traduttrice ha scovato e ci consegna lustre, parole che suonano
liquide: rabberciato mannello ciancicato diaccio macilento meditabondo
almanaccare rorida epitome florilegio marezzato malia compassato chioccolio
sibaritico glabella discettare. Tienele sotto il palato queste parole, come
caramelle da tenere lì
“Certe persone - e io sono
di quelle - odiano il lieto fine. Ci sentiamo truffati. Il fallimento è la
norma. Un destino funesto non dovrebbe incepparsi.” Pagina 27
.
#ilibridihollyeponyo
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