lunedì 28 febbraio 2022

Paolo Milone, L’arte di legare le persone

 5 - 2/2022 Paolo Milone, L’arte di legare le persone, Einaudi, 2021


Mi diletto a segnarmi le “frasi belle”, nei libri, mentre leggo. Una righina verticale, leggera, con una matita grassa, sul margine esterno della pagina. Come scie d’aerei, orme sulla neve: con rispetto impongo al biancore una traccia del mio passaggio e del mio gusto.

Questa volta no. 

Questo libro non mi ha concesso predilezioni. E’ un tale tripudio di bellezza che continuo a rileggere. E mentre leggo e rileggo e trileggo mi rendo conto che sporcherei le pagine, con righine e doppie righine, ché ogni paragrafo merita menzione e ricordo. 


Quando scovai il titolo per la prima volta e ne lessi l’accoglienza osannante, pensai al bondage, a qualcosa di squisitamente sessuale. Ancora ci rido….


È uno psichiatra lo scrittore protagonista, che racconta il suo lavoro negli interventi d’urgenza, nei colloqui, nelturno in  reparto, nei TSO, nelle morti: “Avendo fuggito ogni altro lavoro per paura, mi ritrovo a fare il lavoro che fa più paura a tutti”. 

E ancora una volta, la pazzia e la poesia prendono lo stesso treno e si siedono vicine vicine, nel viaggio attraverso una Genova luccicante: vie strette, dimore antiche di scale attorcigliate e ponti  da cui buttarsi e abitanti con le loro manie. Un viaggio tra fobie e dolori, mancanze e ditacchi. 


Un narrare autentico, sincero, lacerante e irriverente, ora stremato, demotivato ora accorato ed energico, come il nostro essere, ogni giorno, disuguali. E ci tira dentro la corsia, in malo modo a spinte e strattoni. Tra gli odori dei medicamenti, degli uomini, del piscio, dei cibi preparati dagli infermieri. Ci scontriamo con chi spacca tutto, persino costole o dita, persino se stesso. In chi si innamora del curante e cerca un contatto e lo rifugge. Ci imbattiamo in chi non ce la fa più e si butta di sotto e noi restiamo attoniti a guardarlo senza nemmeno il tempo di alzare le mani.

“Il paziente ha bisogno di uno che si stupisca, di uno che si commuova, di uno che raccolga la sua merda e risollevi la faccia ridendo, di uno che si confonda, che scappi, che gli metta le mani addosso. Cerca te, ha bisogno di te, non dei protocolli. Cerca il medico, non la medicina”. Pagina 35


Durante la lettura rimanimo in ammollo tra le pagine a domandarci… Chi è, il matto? E perché è spesso il dolore ad allontanarci da noi stessi in modo così irrimediabile?

E chi guarisce, poi torna a vivere? E come?

“I matti sono nostri fratelli . La differenza tra noi il loro è un giro di dadi riuscito bene - l'ultimo dopo un milione di uguali - per questo noi stiamo dall'altra parte della scrivania.” Pagina 23


In questi mesi ho letto la malattia mentale vista dalla Tribuiani e da  Mencarelli, torno a leggerne con piacere. Perché questo libro è un cioccolatino, prima del sonno, ma di quelli dolceamari. Nemmeno volendo lo si può divorare: necessita del tempo dell’ammirazione. Del tempo della meraviglia. Dell’accoglienze e comprensione del dolore. E del ritorno alla pagina precedente.

Spesso, alla fine di un brano, mi son detta “No, non può aver scritto una roba tanto bella.” E ho ripercorso i miei passi ad assaporare di nuovo. A soffermarmi su quei visi, sui loro occhi, sulle labbra, sulle parole. Sulla città, sull’ironia, sulla stanchezza, sulla sofferenza.

Sulle corde. Sul creare legami. Sulla potenza di certe descrizioni. Sui matti. Sulla poesia.

Leggetela, questa cesta di bellezza. Perché ce n’è sempre bisogno.


“Se vedo qualcuno che si sporge, offro la mano per non farlo cadere, e mentre lo tengo gli chiedo cosa vede punto Sono un vigliacco: Io guardo l'abisso con gli occhi degli altri.” Pagina 18


“Una notte insonne e breve per consolarsi del giorno prima. Una notte insonne e breve per prepararsi al giorno dopo. Aspra è la mattina: si riaprono i cassetti E riaffiorano i coltelli.” Pagina 53

. #ilibridihollyeponyo


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