L’Arminuta, Donatella di Pietrantonio, Einaudi, 2017
Borgo
Sud, Donatella di Pietrantonio, Einaudi, 2020
NO
SPOILER
Mi
parlava, a volte, di certi bambini che crescevano dagli zii. Zii che non
avevano figli, di solito, e che se la passavano benino, si prendevano
l’ennesimo nato di una nidiata scheletrica e lo tenevano per un po’ o forse per
sempre. La povertà nella nostra terra fiera tra montagna e lago poteva essere
rabbiosa. Questi bambini a volte ritornavano che erano ancora piccoli, o da
adulti, sempre con arie da signorini compassati.
L’Arminuta
è la storia di una di queste bimbe che tornano: una ragazzetta di cui non si fa
nemmeno il nome, che sale le scale di casa con le sue scarpe a ciondoloni in
una borsina. Borgo sud è la stessa bimba, oramai adulta che cerca un posto nel
cuore del mondo. È anche la storia di un legame tra due sorelle che si scoprono
necessarie l’una all’altra.
Sono
libri intrisi di tristezza. Scorri le pagine con un qualcosa di aguzzo uncinato
nello stomaco, sperando che non accada altro di brutto, di peggio. Ma è una
tristezza dolce, malinconica, che mette speranza in un domani migliore, voglia
di rivalsa mentre ancora si deglutiscono lacrime. Forse è una trama facile, che
si accaparra il lettore sensibile, trascinandolo a fianco di una bimba povera
ma strepitosamente intelligente, ripeto, forse è facile, è vero… ma sarà che
c’ho ritrovato i racconti di mia nonna, la storia è storia credibile. Ed i
lutti che arrivano nello scorrere, non punteggiano forse tutte le nostre vite,
tra una pausa di sereno e l’altra?
Senza
dubbio l’inchiostro con cui l’autrice ha dato vita a questi romanzi era misto a
lacrime e sangue. E la scrittura: così leggera e curata, a volte mista ad un
dialetto scabro, a volte arricchita da un passo poetico o una citazione, mai
forzata né in una direzione né nell’altra, mi è parsa perfetta per questo
narrare.
Una
parola sui personaggi: sono descritti quasi esclusivamente dal lato che dà
sulla protagonista, ma dotati, esplicitamente, di quella parte oscura di luna
che non le è dato vedere. Perfetti, nel loro intrecciarsi, come un girotondo a
cui la protagonista partecipa sempre (anche suo malgrado), dove vede bene i
visi e mai le spalle…
Certe
istantanee restano fisse nello sguardo: l’abito di Adriana con le conchiglie
vere appuntate sul corpetto che si gonfia alle folate di vento; la guaritrice
centenaria seduta sotto l’ombra di un’antica quercia ad accogliere i bisognosi
in fila, il piatto di rigatoni lanciato contro la parete e l’alone unto che ne
rimane…
Mi
sono appassionata a questo spaccato di storia e di mondo, a queste vicende, ai
personaggi. Ho sofferto e fatto il tifo. Ho gioito, mi sono preoccupata e
addolorata.
E ho
ripensato alla mia nonna triste con gli occhi cerulei, ed è stato bello.
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