mercoledì 20 ottobre 2021

L'Arminuta e Borgo sud, uno dopo l'altro

L’Arminuta, Donatella di Pietrantonio, Einaudi, 2017

Borgo Sud, Donatella di Pietrantonio, Einaudi, 2020

NO SPOILER


Anni fa, molti anni fa, capitava che passassi una notte con la mia nonna materna. E prima del sonno c’era il suo bel raccontare, al buio. Io rannicchiata nella cuccetta posta a fianco del lettone, ascoltavo i tempi lontani in cui mia nonna aveva una manciata d’anni e i capelli chiari.

Mi parlava, a volte, di certi bambini che crescevano dagli zii. Zii che non avevano figli, di solito, e che se la passavano benino, si prendevano l’ennesimo nato di una nidiata scheletrica e lo tenevano per un po’ o forse per sempre. La povertà nella nostra terra fiera tra montagna e lago poteva essere rabbiosa. Questi bambini a volte ritornavano che erano ancora piccoli, o da adulti, sempre con arie da signorini compassati.

L’Arminuta è la storia di una di queste bimbe che tornano: una ragazzetta di cui non si fa nemmeno il nome, che sale le scale di casa con le sue scarpe a ciondoloni in una borsina. Borgo sud è la stessa bimba, oramai adulta che cerca un posto nel cuore del mondo. È anche la storia di un legame tra due sorelle che si scoprono necessarie l’una all’altra.

Sono libri intrisi di tristezza. Scorri le pagine con un qualcosa di aguzzo uncinato nello stomaco, sperando che non accada altro di brutto, di peggio. Ma è una tristezza dolce, malinconica, che mette speranza in un domani migliore, voglia di rivalsa mentre ancora si deglutiscono lacrime. Forse è una trama facile, che si accaparra il lettore sensibile, trascinandolo a fianco di una bimba povera ma strepitosamente intelligente, ripeto, forse è facile, è vero… ma sarà che c’ho ritrovato i racconti di mia nonna, la storia è storia credibile. Ed i lutti che arrivano nello scorrere, non punteggiano forse tutte le nostre vite, tra una pausa di sereno e l’altra? 

Senza dubbio l’inchiostro con cui l’autrice ha dato vita a questi romanzi era misto a lacrime e sangue. E la scrittura: così leggera e curata, a volte mista ad un dialetto scabro, a volte arricchita da un passo poetico o una citazione, mai forzata né in una direzione né nell’altra, mi è parsa perfetta per questo narrare.

Una parola sui personaggi: sono descritti quasi esclusivamente dal lato che dà sulla protagonista, ma dotati, esplicitamente, di quella parte oscura di luna che non le è dato vedere. Perfetti, nel loro intrecciarsi, come un girotondo a cui la protagonista partecipa sempre (anche suo malgrado), dove vede bene i visi e mai le spalle…

Certe istantanee restano fisse nello sguardo: l’abito di Adriana con le conchiglie vere appuntate sul corpetto che si gonfia alle folate di vento; la guaritrice centenaria seduta sotto l’ombra di un’antica quercia ad accogliere i bisognosi in fila, il piatto di rigatoni lanciato contro la parete e l’alone unto che ne rimane…

Mi sono appassionata a questo spaccato di storia e di mondo, a queste vicende, ai personaggi. Ho sofferto e fatto il tifo. Ho gioito, mi sono preoccupata e addolorata.

E ho ripensato alla mia nonna triste con gli occhi cerulei, ed è stato bello.


 

 

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